“AthenaPromachos…a Medma!” È questa l’entusiastica esclamazione che esprime sul suo profilo Social la Dott.ssa Ágnes Bencze, ungherese di origine, che, insieme al suo team da mesi a lavoro tra i siti e i depositi del Museo di Medma e quello di Hipponion, è riuscita a ricostruire una statua di dimensioni notevoli della dea protettrice di Atene.
L’esultanza è presto spiegata.
Il risultato delle attività presiedute dalla Dott.ssa Bencze è l’esempio delle virtù di pazienza, cura, dedizione alla propria professione, di cui è certamente appassionata.
Infatti, i frammenti che hanno ricomposto la maestosa Athena Promachos sono null’altro che la selezione accurata di un insieme di 4000 pezzi, i quali da tempo erano depositati nei magazzini del Museo Archeologico di Medma e del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
L’intuizione e l’attenzione allo stesso tempo degli studiosi e delle studiose sono state premiate, l’osservazione di alcuni frammenti di misura superiore al solito hanno condotto al restauro e alla ricomposizione di una figura, ovviamente ancora molto frammentaria, riconducibile ad un modello molto preciso, frequente ad Atene, ma anche noto nei siti magnogreci.
Il modello della dea Athena in posizione di attacco, dalle definizioni ben precise, con il braccio destro alzato e proteso alla spinta della sua lancia e il braccio sinistro pronto alla difesa per la tenuta dello scudo, è già presente in una lunga tradizione artistica, che va dalla pittura su vaso alla realizzazione di statue di vario materiale. A Medma Athena Promachos è stata realizzata in terracottamedmea da evidente manifattura locale, riprende lo stesso motivo e lo stesso stile di altre statuine di dimensioni ben più ridotte che erano state ritrovate dal grande archeologo Paolo Orsi, padre degli scavi a cui risalgono tutti i frammenti riordinati ed ancora in via di riordino. Proprio dalla stipe votiva collocata in località Calderazzo a Rosarno giungono i frammenti studiati, ma che per il gran numero e per la difficoltà iniziale del secolo scorso non avevano potuto godere dei risultati laboriosi dell’equipe scientifica ungherese composta daPéterVéninger, JúliaTrostovszky, Xénia Bezeczki e Franco Prampolini.
L’eccezionalità e la sorpresa della ricostruzione e delle ipotesi sulla statua risiedono innanzitutto nella grandezza della sua figura, la stima della ricomposizione, considerati i frammenti mancanti, fanno pensare ad una dea di un metro e sessantasei centimetri di altezza, insomma di dimensioni umane vicine al reale.
E proprio questa presenza così importante in una località che, per tradizione, era stata associata al culto della dea Persefone farebbe dubitare esperti ed esperte, ma anche appassionati ed appassionate.
Come può spiegarsi la collocazione di una statua di siffatte e notevoli dimensioni in un sito che sembrava dedicato al culto di un’altra dea?
Sarà necessario riscrivere interi capitoli di storia e di studi?
E ancora, il ritrovamento fortuito di qualche anno fa di una statuina fittile di soli tre centimetri ad opera di uno studioso e appassionato rosarnese, Lino Licari, risalente al periodo preistorico, attestante insediamenti umani in epoca così remota avrà una spinta di stimolo per riaprire nuove ricerche ancora più ampie sull’area rosarnese? E soprattutto modificherà l’idea e la teoria che Medma sia solo ed esclusivamente colonia locrese e che prima di essa non vi fossero altre comunità evolute?
La storia di Medma si arricchisce e si modifica in attesa di necessarie e auspicabili campagne di scavo. Dubbi e domande si innescano in un clima di forte rinnovamento storico.
Caterina Restuccia