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Tito Puntillo ricorda il Presidente Sergio Marchionne

  • Categoria: Italia

Sergio MarchionneSergio Marchionne<<Mi ricordo perfettamente quando il dott. Marchionne comparve a Mirafiori per la prima volta, agli inizi degli Anni Duemila. Si fece arredare una ex sala riunioni al secondo piano della nostra Palazzina Direzionale, anziché installarsi al Lingotto, perché in tale maniera, avrebbe avute sottomano tutte le risposte alle domande da porre. E ne pose tantissime.

C’erano direttori e dirigenti che entravano seriosi e uscivano con le occhiaie ed aveva l’abitudine di chiamare il diretto interessato, senza intermediari insomma. Entrai un paio di volte perché voleva sapere, su una trimestrale e una semestrale, quali fossero state (periodo su periodo) i risultati economico-finanziari della rete Commerciale Italia, cioè le variazioni di listino-volume-mix del fatturato della Rete Italia, il Margine di Contribuzione e l’EBIT (l’Utile netto prima delle imposte e le tasse). Domande secche, risposte secche, occhiata alla «maddalena» con tutti i risultati, grazie e buon lavoro. Non tutti i dirigenti furono egualmente fortunati.

Si fece un’idea chiara della situazione e poi cominciò a partecipare a qualche riunione collegiale. Si sedeva col Direttore del Personale e il Direttore Commerciale vicino e assisteva intento alla presentazione effettuata dal dirigente di turno. Se riscontrava scarsa concretezza, poca sostanza, tanto fumo negli occhi e magari svolazzamenti senza senso, si rivolgeva al Direttore del Personale e chiedeva: “chi è quello?” Alla risposta ribatteva: “lo cambi di posto” quando non addirittura: “lo mandi via”. La Fiat era stata fino ad allora un elemento portante dell’economia di una intera Nazione. Ma da quando l’Avvocato iniziò ad accusare sintomi di senilità, le cose iniziarono ad andare male. Colpa di Romiti, che decise di trasformare una grandiosa azienda di produzione in un devastante leviatano finanziario dal quale non uscimmo che con le ossa rotte. Fummo mandati a Marentino a sentirci raccontare della “teoria del miglioramento continuo”, del “kaizen” giapponese, dell’«effetto qualità» e altre cose del genere delle quali in Italia non avevamo bisogno.

Fiat cominciò a vendere immobili in coincidenza colla crisi del mercato brasiliano, che aggravò l’indebitamento aziendale. Vendette tutto il patrimonio torinese e poi gli immobili delle Direzioni di Area (bellissimo quello di Reggio), delle Succursali, delle sedi di rappresentanza. Vendeva l’immobile con tutto il personale che vi lavorava e capitò qualche volta che per potere ottenere il risultato, «incentivò» l’acquisto all’acquirente … Già all’epoca subimmo il taglio produttivo per favorire ulteriormente la Polonia, ove si produceva a basso costo del lavoro. Molti colleghi andarono pro-tempore ad insegnare ai polacchi come si avvitavano i bulloni … Per salvare la Fiat romitiana dal disastro, Marchionne prese una decisione drastica: dimezzare il costo del lavoro, razionalizzare i processi, evitare gli sprechi, concentrarsi sui modelli a forte domanda di mercato. Il Personale iniziò a preparare i famigerati tabulati. Non so se per accordi sindacali o meno. Marchionne decise di mettere in mobilità (con strumenti di incentivazione all’uscita, accompagnamento alla pensione, lunga cassa integrazione, spostamento di località ecc.) operai e impiegati, senza alcuna obiezione. Se rientravi in quella fascia di natalità o anni di servizio, eri nel tabulato. E così furono mandati a casa, oltre alla normale forza lavoro, un fior fiore di intelligenze ed esperienze che furono il tesoro della Fiat. Inutile ogni obiezione, si doveva fare così. I guai progettuali e di governo commerciale della Fiat, iniziarono proprio da quelle decisioni suicide, perché da quel momento in avanti, il prodotto soffrì molto di carenza di qualità.

Quindi passammo all’idea di divenire una grande azienda di stampo internazionale, sicché la fallenda Fiat si alleò colla fallenda G.M., rinunciò alla denominazione originaria Fiat e divenne una di FCA. Ottenne un grande prestito dal governo degli Stati Uniti e, fra tagli continui e operazioni finanziarie diverse, riuscì a respirare, anche in Italia ove oramai a Mirafiori era rimasta una mera rappresentanza (molta forza lavoro fu sostituita da processi automatizzati), mentre per favorire Polonia, aveva già chiuso Termini Imerese con un’operazione da falce del Dio Tanatòs e gli altri stabilimenti iniziarono a lavorare al 70% della loro produttività normale. Il delitto più eclatante fu, dopo la pregressa chiusura dello Stabilimento Alfa di Arese, lo spostamento di Maserati alla periferia di Torino. In un ambiente che fu di risanamento fra lacrime e sangue, la decisione non sortì preoccupazione, anzi.

Tutto sembrò ruotare per il verso giusto in Italia e negli Stati Uniti ma in realtà l’impoverimento delle competenze (effetto-tabulato), la mancanza di risorse finanziarie per affrontare e mettere a piano progetti di modelli e contenuti, l’errore grave di non approcciare l’elettrico e l’automatismo nelle autovetture, condussero a conseguenze solo in parte celate, anche coll’aiuto della stampa consenziente. E così, mentre la stampa elogia oggi “l’azzeramento del debito” lasciando intendere che Fiat è senza debiti mentre ha in realtà, solo pagato l’ultima rata di restituzione del debito contratto col governo degli Stati Uniti, Lancia è oggi praticamente finita. Fallito in pieno il piano di una vettura di lusso su telaio Chrysler, falliti tutti i piani di reintroduzione di una nuova Fulvia, oggi Lancia è solo Ypsilon e relegata a Italia. Fallito clamorosamente (almeno per il momento) il piano di introdurre Alfa Romeo negli Stati Uniti insieme a Cinquecento. Ridimensionato il progetto Jeep. In Italia vende solo la piccolina, poco graditi i grandi modelli. Ed era una delle preoccupazioni maggiori di Marchionne. Per il rilancio del marchio, pensò addirittura a Ronaldo per una efficace comunicazione pubblicitaria sui campi di calcio d’Europa. Crollato il mercato Maserati. Resta in piedi solo Ferrari.

L’errore fu ed è avere sradicato Maserati e Alfa dalla loro culla: Milano-Arese e Modena. Se nelle produzioni di tipo popolare conta il rapporto costo-beneficio per il cliente, sulle produzioni eminenti il surclassamento operato dalle italiane sulla concorrenza, è stato sempre determinato dai buoni contenuti della vettura inseriti in «un’opera d’arte». E essa si genera da maestranze che vivono e lavorano in ambienti che si sintonizzano coi motori in tutti i sensi. L’Emilia è la vera patria dei motori e degli artisti e sradicare Maserati da quei posti divini per sbatterla alla periferia di Torino, è stato un errore determinante. Lo stesso per Alfa. Alfa fu sempre Milano con la sua indole motoristica quale combinazione di motori potenti su carrozzerie disegnate dalla concretezza e aggressività dell’animo lumbard. Dov’è oggi Alfa Romeo? Infine il grande progetto di investimenti pensando all’Oriente. Ove però ormai i giochi sono fatti anche per l’ibrido. Il tentativo di Marchionne di replicare l’operazione G.M. con Hyundai, è rimasto ai nastri di partenza. Anche perché Hyundai, Ssangyong, Mitsubishi, stanno esplodendo per i fatti loro e stanno penetrando anche in Italia con modelli di tutte le dimensioni. Recentemente Fiat Professional (la ex Veicoli Commerciali), ha tirato fuori un Fullback (furgone con piano di carico) per entrare in un segmento ove Toyota e Nissan sono presenti da oltre vent’anni e senza rivali, se si escludono le americane. Ne avete visto qualcuno in giro? Di Fiat infine, che al momento non ha programmazione recente di nuovi modelli, ma solo restyling, resta sempre appetibile la Panda e la gamma delle Cinquecento (ma con listini esagerati). Poche vendite sulla Tipo, nessuna Freemont. Nessuna presenza nel segmento C.

Marchionne è riuscito in una grande impresa: evitare il fallimento di Fiat e lo stato di crisi di G.M. E con il finanziamento di Obama e la decimazione delle maestranze, ha tirato avanti molto bene fino alla semestrale 2018 quando è apparso chiaro a tutti che in realtà i processi produttivi presentavano alcuni flop e il piano quinquennale aveva incertezze preoccupanti. V’è da dire che dopo l’uscita di Altavilla, un gradissimo esperto di mercati europei e molto amato dalla Rete Commerciale, in Fiat restano solo “stranieri” di indecifrabile statura professionale, con alla guida un giovanotto ricciolato che sorride meccanicamente e spiaccica frasi disarticolate. Suo fratello Lapo è di gran lunga migliore dal punto di vista dell’intraprendenza, creatività, coraggio e voglia di fare.

Cosa sarà adesso di Fiat Italia? Perché è quello che ci interessa, con Pomigliano, Mirafiori, Melfi, Grugliasco che producono a scartamento ridotto e sorge molta preoccupazione anche per l’indotto, con Magneti Marelli quale capofila. Marchionne ha operato quale unico decisionista di una vasto Gruppo ed è stato giusto così se si voleva fare pulizia profonda. Ha errato nel volere operare “a tabulato”, ha errato nel non considerare la personalità e il carattere di Maserati e Alfa, ha errato nell’eliminare un marchio storico e di classe quale Lancia, ha errata la valutazione sull’auto elettrica e l’ibrido, ha trascurato il mercato Cina e India e ora essi appaiono irraggiungibili e infine, pesa oggi sull’Italia la scure delle imposte all’import di Trump sulle auto. Oggi Fiat Italia non esiste più: il domicilio fiscale e la residenza legale sono all’estero. E mentre la stampa loda il Maestro (perché comunque non si può non riconoscergli coraggio e determinazione e la salvezza di Fiat dal fallimento totale), la Borsa, che è sensibile anche al battito di ciglia, s’è data una brutta regolata. Forse anche valutando bene chi sta per affiancare il “bimbo-ridens” del Lingotto. Speriamo bene: noi di Fiat e di ex Fiat italianissimi, ce lo auguriamo per tutti.>>

Tito Puntillo, riceviamo e pubblichiamo